Ci risiamo

Ci risiamo. Rieccoci.

I Dpcm, il viso di Conte provato alla tv. L’incubo di nuove restrizioni, nuove chiusure. Ci risiamo, i discorsi sul coronavirus al tavolo, ai bar, al supermercato. Le persone che camminano veloci per strada, gli occhiali che si appannano, i corpi che si scansano. Il nervosismo delle madri e dei padri che portano i figli a scuola, scaglionati, scoglionati. Il controllo della febbre, oddio un nuovo positivo in classe, che si fa? Auto-quarantena? Auto-sabotaggio.

Tutti a casa? O tutti liberi? Una via di mezzo mai, troppo complessa, troppi interessi, troppi fessi.

E così ci ritroviamo sui divani delle nostre case ( vale solo per chi ce l’ha, un divano o una casa) a guardare quel quadrato di cielo che abbiamo incorniciato nelle finestre delle nostre stanze.

Che succede? Andava tutto bene, prima. O almeno, sicuramente meglio di adesso. Che succede? Che succederà? Il master, il lavoro, la cassa integrazione, il mutuo, i figli all’università. Quella causa giudiziaria, quel conflitto con l’assicurazione, che sarà? Tutto quel fuori, ingombrante, chiuso con noi insieme a casa. Di nuovo. Convivere con quell’elefante nella stanza, senza poter fingere di correre in giro per la città per il mondo nella speranza che correndo veloce quel tutto rimanga indietro, non ci insegua, non ci schiacci.

Ci risiamo.

Tutti depressi, tutti ammorbati da un male più grosso di questo virus scappato dalla pancia di qualche pipistrello appeso a testa in giù in qualche caverna umida e buia della Cina (almeno così me la sono raccontata io): l’umanità. Tutti ammorbati da questa umanità ingombrante. Tutto più semplice se non fossimo esseri sensienti, se non fossimo nervosi, malinconici, ansiosi, disperati. Se non fossimo umani. Potremmo stare confinati nelle nostre scatole senza soffrire. Tutti incazzati con qualcuno. Con Conte che chiude le palestre, con l’opposizione che non è stata in grado di fare muro per impedire che chiudano i locali. (Quelle povere famiglie, che faranno?). Incazzati con Confindustria che fa lobby – e tanto i poteri forti vincono sempre. Con Zara in via del corso a Roma, che da sola fa assembramenti più che un’intera provincia del Sud. Con i neri sugli autobus che non si tengono la mascherina – tanto loro non se lo prendono, ma noi si. Incazzati perché l’Italia non ha ancora capito che si può e si deve fare Smart working, invece che chiudere i locali. Incazzati perché siamo veramente il vecchio continente e da vecchi ragioniamo, da vecchi lasciamo ancora lavorare i vecchi, da vecchi continuiamo a non capire che abbiamo bisogno di una nuova modalità  di pensiero.

 E se, invece, tutto quello che succede lì fuori non fosse un grande specchio di quello che ci succede dentro? Se tutta questa ingiustizia, cattiveria, questo egoismo, l’inefficacia, la corruzione, non fossero che trasposizione esterna dei mali che ci attanagliano, noi uomini, da tanto tempo. E nell’incapacità di gestire tutto questo, se ricorrere in estrema ratio ad una chiusura totale, ad una rimozione generale, che si spera anestetizzi tutto, non fosse solo il tentativo di tenere bloccato il fluire di tutto questo marcio che si è prodotto, noi uomini?

Fuori, dalle nostre finestre che continuano ad incorniciare il cielo, continua a respirare un mondo in affanno. Un ecosistema alterato, disallineato. Noi, che pensiamo di dover correre, produrre – nel migliore dei casi studiare, mangiare e comprare per tornare a correre, produrre – nel migliore dei casi studiare, mangiare e comprare, siamo sicuri di essere così perfettamente integri? Che non sia quel mondo lì un riflesso esteriore dell’alterazione dei nostri corpi, delle nostre menti, per i più coraggiosi azzarderei a pronunciare la parole “anima”? Che abbiamo finito per disallinearci con i nostri veri bisogni, aspirazioni, per i più coraggiosi azzarderei a pronunciare la parola “sogni”?

Siamo sicuri di non voler provare a trovare la causa di quello che sta succedendo fuori, dentro noi stessi? Dentro quell’umanità che ci siamo dimenticati di possedere e che è diventata tanto ingombrante? E’ veramente colpa di Conte se per prima cosa chiudiamo teatri e cinema, circoli letterari e funzioni religiose? Non è forse la prima cosa a cui abbiamo rinunciato noi, sull’altare del “progresso”? All’umanità?